La mia recensione di Il diritto di contare è profondamente influenzata di una frase che ho sentito prima di entrare al cinema, che mi ha fatto ricordata l’importanza centrale della pellicola: mentre il mondo le ignorava, loro c’erano.

Ma, cos’ ho sentito? Prima di entrare in sala mi hanno chiesto che film stavo per vedere, ho detto che era la storia di 3 donne di colore in piena guerra fredda, che lavoravano per la Nasa, e le loro scoperte hanno permesso operazioni come il Programma Mercury e la missione Apollo 11. La risposta che ho ascoltato è stata: Strano, perché le persone di colore non sono mai state molto brave con le materie scientifiche.

Si, abbiamo bisogno di film come Il diritto di contare, titolo originale Hidden Figures, Figure Nascoste. Anche se in certi momenti questo film sprofonda nei cliché, dal genere il bianco cattivo che, durante la storia, cambia opinione ed ha un montaggio che parte bene, ma perde forza alla fine. Comunque, questo è un film che racconta, bene, la storia delle 3 donne di colore, tra le tante, che hanno cambiato la storia, sebbene se geniali, dovevano lavorare nascoste in scantinati, umiliate e sottostimate, ma, mosse dal patriottismo e competizione per la corsa allo spazio, dove l’Unione Sovietica cominciava in anticipo a lanciare il suo primo satellite.

Il diritto di contare: i punti forte e deboli del film

Il film scritto e diretto da Theodore Melfi  racconta la storia di Katherine G. Johnson (Taraji P. Henson), Dorothy Vaughan (Octavia Spencer) e Mary Jackson (Janelle Monáe)3 matematiche che tra gli anni 50 e 60 lavorano per la NASA. Anche se racconta un periodo atroce della storia Americana, quello della segregazione razziale, il film è girato in un tono “feel good movie”, magari, anche un pochino troppo leggero.

La scelta di fare un film mosso da atmosfera ottimista, viene aiutata da una colona sonora efficiente in questo aspetto. Il film conta con la co-produzione di Pharrell Williams, che cura anche la colona sonora insieme a Hans Zimmer e Benjamin Wallfisch. Canzone come “‘Runnin”, che accompagnano Katherine nelle sue corse al bagno, hanno questo intento di dare un tono divertente e alleggerire il lato drammatico della storia.

Il film prova a sfuggire in tutte le maniere al vittimismo facile e punta a servire come ispirazione per un’intera generazione, anche si evita le domande più profonde e complesse sulla questione razziale del tempo.

Anche se la trama è focalizzata sul Katherine G. Johnson, un genio della matematica fin dall’infanzia, il film riesce a bilanciare bene la storia delle tre protagonisti: la lotta di Dorothy Vaughan per difendere il suo posto e quello delle colleghe, tutte donne di colore impegnate a realizzare i calcoli necessari per le missione spaziale, fino a diventare programmatrici preparate all’arrivo del computer IBM (che potrebbe prendere il loro lavoro in futuro). L’ostinazione di Mary Jackson per diventare ingegnere, toccante quando difende l’importanza di essere i primi, di grande inspirazione. Tuttavia, tutti questi obiettivi sono permeati da un forte pregiudizio razziale del tempo, che non risparmia neanche la NASA, che ha messo troppo tempo a non voler capire che la mente e il genio non dipende dal sesso e dal colore.

Il cast viene sopportato da Kirsten Dunst e Jim Parsons che sembra una versione più noiosa di Sheldon di The Big Bang Theory. Un peccato il vecchio cliché del bianco razzista che cambia idea e si umanizza a fine film.

Kevin Costner incarna una sorta di “mentore” per il personaggio di Taraji P. Henson, direttore della NASA, magari troppo in stile “Costnerniano”. Bello l confronti tra lui e la Johnson , separati dal razzismo insensato, ma uniti nella passione per i numeri e scienza.

Molto bello il lavoro visivo della fotografa Mandy Walker, creando un’atmosfera perfetta. Che va da una fotografia nei toni di colore colore grigio e bianco per la maggior parte dei settori della NASA e altre gradazione cromatiche per gli interni, toni marroni che contrastano abiti e oggetti, negli ambienti come lo scantinato delle ragazze del calcolo o l’ufficio Kevin Costner.

Per quanto riguarda il montaggio parte bene, ma, perde forza nel sviluppo della pellicola, le scene reali dell’epoca litigano un po’ con il film, spesso non abbastanza in armonia. Anche la regia “semplifica” un po troppo i piani alla fine del film, mancando po’ di creatività.

Ma, la storia prende e ci fa tifare per loro a ogni sconfitta, che non fa altro che nutrire in loro ancora più voglia di lottare, crescere e dribblare i divieti dell’epoca, cambiando la storia.

Il film meritava l’Oscar? Hummmm, secondo me no. Anche se è un film adatto e utile, principalmente in questo periodo storico che viviamo. Dove le questione razziale in America sono lontane dall’essere risolte, dove noi donne ancora siamo discrima-nate.

Molti film acquisiscono un’importanza ancora maggiore grazie al momento in cui vengono lanciati. Platoon, per esempio, ha avuto il (meritato) riconoscimento non solo grazie alla sua qualità, ma anche per essere stato il primo film ad affrontare, in modo più approfondito, la partecipazione degli Stati Uniti nella guerra del Vietnam. Kramer contro Kramer ha portato sul grande schermo i cambiamenti nella società nel 1970, quando la separazione delle coppie è iniziata a diventare routine. Il Diritto di contare ha questa stessa forza per segnare una epoca? No, è molto lontano dal segnare un periodo come questi pellicole del passato, ma, comunque aiuta e come ho già detto prima inspira e oltre a avere bisogni di esempi da seguire, dobbiamo conoscere meglio la storia e la vita delle persone che hanno fatto la differenza, ancora di più delle minoranze. La cinematografia ha guadagnato ancora un ottimo film da far vedere ai nostri figli, anche se non è un film perfetto.

La risposta che mi è sfuggita al commento con cui ho iniziato questa recensione: Pensi lei quante mente geniale sprecate e perdute in ogni barcone disperso in mare. Solo insieme si va avanti.

Lego omaggia le donne della NASA

Per la fine anno la Lego lancerà nel mercato un set tutto dedicato alle donne che hanno lavorato per la NASA, cambiando la storia. Nel set c’e anche Katherine G. Johnson, le altre sono: Margaret Hamilton, Nancy Grace Roman, Mae Jemison e Sally Ride. Il set si chiama “Women of NASA”.

 

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4 comments

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Questo film mi èpiaciuto dall’inizio alla fine non conosceva la storia di queste grandi nomi ma sono contenta di averla conosciuta anche se attraverso un film . Baci
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Si, anch’io non conoscevo la loro storia e il film vale molto anche per quello. Un abbraccio Renee e grazie della visita 😉

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Devo assolutamente recuperare e vederlo, mai come adesso attuale. Grazie

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Si, un film imperdibile)

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